Spesso poniamo a tema alcune delle problematiche o delle difficoltà che essere genitore oggi comporta, ma meno di concentriamo su cosa significhi davvero essere genitore.
La psicologia in questo ci può aiutare. La genitorialità viene definita come la disponibilità ad assumersi la responsabilità di farsi carico dei bisogni dei propri figli. Non solo, la genitorialità è innanzitutto una fase, una fase dello sviluppo individuale di ciascuno di noi che arriva al punto di sentirsi pronto a creare, proteggere, nutrire, amare, rispettare un essere altro da sé.
Essere genitori rappresenta una tappa fondamentale dello sviluppo dell’essere umano. Ce lo ricorda Erik Erikson, psicologo dello sviluppo che diede vita a una delle più influenti teoria sullo sviluppo umano e del ciclo di vita.
Secondo Erikson, lo sviluppo umano è articolato in tappe, più precisamente otto fasi, in cui è presente, in ognuna di esse, un conflitto, un dilemma. Solo se l’individuo riuscirà a risolvere positivamente questo conflitto, potrà passare alla tappa successiva costruendo via via un’identità personale sempre più integra e un senso di benessere interiore.
Tra le otto fasi dello sviluppo psicosociale dell’essere umano, è nella fase in cui si genera il dilemma tra la generatività e la stagnazione che trova spazio il fiorire della genitorialità. Tale fase si struttura nell’età adulta in un momento in cui l’individuo comprende che la vita non riguarda solo se stesso e avverte l’esigenza di esserci anche per gli altri, dando il proprio contributo utile per coloro che verranno.
Attenzione, essere genitori non è un obbligo, la generatività di cui si sente la spinta non corrisponde solo ed esclusivamente al mettere al mondo un figlio. Generatività può significare desiderio di lasciare un segno, questo lo si può fare in diversi ambiti, non solo quello familiare, ma ad esempio quello lavorativo e sociale.
All’opposto della generatività vi è la stagnazione, ovvero la sensazione di fallimento, nel non trovare il modo di contribuire in alcun modo al mondo in cui viviamo. Gli individui in uno stato di stagnazione possono sentirsi disconnessi, improduttivi o non coinvolti con la loro comunità e con la società nel suo insieme. Coloro che hanno successo durante questa fase invece, sentiranno di dare il proprio contributo al mondo, dando prova di essere attivi nella loro casa e nella loro comunità.
È nel sentirsi pronti all’essere genitori che si gettano le basi per assolvere alle funzioni della genitorialità: tra le tante, vi è la funzione di aver cura del proprio bambino, accudendolo e proteggendolo in senso fisico, dando protezione e sicurezza; comprendere le sue emozioni ed esserci nel ruolo di regolazione dei suoi stati emotivi e delle sue risposte comportamentali; saper porre dei limiti, affinchè il figlio cresca sicuro all’interno di confini nei quali sapersi muovere con sicurezza.
La generatività, riprendendo Erikson, è la capacità di prendersi cura in modo responsabile di ciò che è stato generato. Ed è proprio su questa dimensione responsabile del prendersi cura che si potrebbero fare riflessioni sulla genitorialità oggi.
Sempre di più oggi la tendenza dei genitori è quella di essere amici dei propri figli, sempre pronti ad accontentarli, ad andare incontro al tutto le loro richieste, ponendosi come confidenti e amici del cuore. Un genitore però è qualcosa di ben diverso dall’amico del cuore. La relazione genitore-figlio, infatti, si basa su una differenza sostanziale rispetto a quella tra due amici. L’asimmetria dei ruoli. Da una parte c’è il genitore che dovrebbe essere in grado di assumersi la responsabilità dell’altro e dall’altra il figlio che ha bisogno di essere guidato ed accompagnato. Ecco perché la confusione di ruoli non va mai bene, rischia di creare problematiche difficili da risolvere all’interno della famiglia.
Allora cari genitori non temete, nel momento in cui difendete la vostra autorevole posizione, di perdere i vostri figli. Loro hanno bisogno di voi esattamente così.
Senza dubbio è importante essere riconosciuti come validi interlocutori dai propri figli, ma non come se fossero amici del cuore. Il rischio è quello di perdere i confini e allontanarsi sempre di più dal ruolo genitoriale.
Dott.ssa Anna Guerrini
Psicologa